“Non siamo favorevoli a percorsi di nazionalizzazione permanente” dell’ex Ilva “però abbiamo detto che nella situazione in cui versa l’impianto serve una fase transitoria” in cui lo Stato “deve garantire gli investimenti per la decarbonizzazione” degli impianti e farsi carico dei “debiti” accumulati. Così il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, intervenuto a un webinar di Siderweb. “Bisogna costruire le condizioni per un’operazione che, seppure nel medio e lungo periodo, abbia una sua redditività” e in tal caso “credo che la siderurgia italiana, a partire dal grande produttore di prodotti piani che è Arvedi, possa pensare a un disegno di questo tipo”.
Gozzi ha invocato un intervento dello Stato sul modello di quanto fece l’ex presidente degli Usa, Barak Obama, con la
Chrysler, rilanciata attraverso la fusione con Fiat. “Quel modello spiega come sistemi economici di mercato e non
tacciabili di statalismo come gli Usa in determinati momenti, rispetto ad obiettivi strategici, garantiscano una presenza
transitoria dello Stato”, ha spiegato Gozzi. Lo Stato italiano dovrebbe dunque “garantire investimenti per la decarbonizzazione, così come stanno facendo francesi e tedeschi con le loro siderurgie”, ha detto ancora ricordando i
2,5 di aiuti della Germania a Thyssenkrupp e gli 1,8 miliardi promessi dalla Francia a Mittal. “Francamente non si capisce per quale motivo se francesi e tedeschi, che ragionano più strategicamente, lo fanno, l’Italia non possa fare la stessa cosa”. “Una volta che l’impianto ha realizzato il piano industriale di decarbonizzazione”, se “sostenibile e viabile”,
Acciaierie d’Italia “può ritornare ad essere privata”.
Ma perché dei privati possano riavvicinarsi a Taranto “occorre fare chiarezza sui punti oscuri: non si conosce l’ammontare complessivo dei debiti di Acciaierie d’Italia”, debiti “verso l’indotto e i fornitori di energia” che “non si
può chiedere che siano i privati che entrano a pagare, perché quella è un eredità che si deve gestire lo Stato, facendo
attenzione all’indotto”.
Inoltre “bisogna fare una due diligence sugli impianti” sui quali, da quando sono stati espropriati alla famiglia Riva, “non sono stati fatti interventi di manutenzione straordinaria” e sui quali gli ex proprietari spendevano invece 350 milioni all’anno. “La sensazione è che lo stato non sia buono ed è inevitabile che sia così perché in 12 anni questi impianti hanno avuto pochissimi investimenti. Bisogna capire lo stato degli impianti per fare un piano industriale e portare in linea l’efficienza e la qualità produttiva”.
Rilanciare in chiave green l’ex Ilva “ci porterebbe ad avere 5,5-6 milioni di tonnellate di acciaio decarbonizzato” l’anno, “non sarebbe l’Ilva da 10 milioni di tonnellate ma sarebbe un impianto vivo, sostenibile, in linea con le indicazioni di decarbonizzazione dell’Unione europea”, ha detto il presidente di Federacciai. “L’idea che è percorribile è quelle di salvare con un revamping abbordabile dal punto di vista economico gli altiforni minori di Taranto, l’1, il 2 e il 4 ed utilizzarli fino al 2029 con la loro quota di CO2” e “nel contempo realizzare due impianti collegati a forni elettrici ad arco sommerso”.
“Non è troppo tardi” per salvare l’ex Ilva ma se le regole europee sulle emissioni inquinanti, frutto di una politica “estremista” e “dissennata”, non cambieranno “è chiaro che si chiude, ma come chiuderanno tutti gli altiforni europei”.
Stefania Losito
Fonte Radio Norba