Omicidio di Giulia Cecchettin, Turetta in aula interrogato per sei ore: “Ho pensato di rapirla e poi di farle del male”

La Redazione

Occhi bassi, stanchi, felpa scura con cappuccio, pallido. Così è apparso Filippo Turetta, 23 anni, reo confesso dell’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, uccisa con 75 coltellate a Vigonovo, in Veneto, l’11 novembre scorso. Al 23enne di Torreglia la procura contesta l’omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà e legame affettivo, e i reati di sequestro di persona, occultamento di cadavere e porto d’armi. Ha ammesso la premeditazione. “Volevo stessimo insieme, noi due soli – ha detto guardando i magistrati, con gli occhi rossi e moltissime pause – Passare del tempo assieme, prima eventualmente di toglierle la vita, anche se non lo avevo ancora deciso”. Filippo
Turetta, per la prima volta in aula di Tribunale, davanti al padre di Giulia, Gino Cecchettin, che al contrario non distoglieva lo sguardo dall’imputato, ha raccontato l’orrore e la violenza di un anno fa, quando iniziò a progettare di rapire l’ex fidanzata,ed “eventualmente” ucciderla, portando a termine questo piano la sera di quell’11 novembre.
E’ stato sentito, nell’interrogatorio, per sei ore e mezza, parlando di ‘lei’ senza mai dire il nome. Si è affidato a un’ultima memoria, 80 pagine scritte a mano ed in corsivo, piene di cancellature e correzioni. In quei fogli racconta ciò che precede il femminicidio, quel chiudere Giulia in una sorta di prigione, cercando dapprima la strada per una riappacificazione con la laureanda che l’aveva lasciato, e poi progettando, con tanto di lista delle cose utili per un killer, il rapimento, e, alla fine, l’omicidio.
E’ il 7 novembre 2023, quattro giorni prima del fatto, quando cominciano per Turetta “i pensieri brutti e terribili”, l’idea
di “di farle del male” e “di toglierle la vita”. “Ho pensato quindi di rapirla e sequestrarla – ha detto oggi – se le cose non fossero migliorate tra noi”. Il primo atto, premeditato, sostiene il pubblico ministero del tribunale di Venezia, Andrea Petroni, fu n quella lista in cui Filippo scrisse le “cose da fare”: fare cassa usando un bancomat da eliminare, comprare scotch per legare la ragazza, sacchi neri, coltelli, cartine stradali. Questo mentre in internet cercava luoghi appartati, modalità per rendere non rintracciabile la propria auto. Poi la sera dell’11 novembre: l’appuntamento per fare shopping al centro commerciale ‘La Nave de Vero’ di Marghera, l’aggressione a Vigonovo nel parcheggio vicino alla casa di lei,
quindi lo spostamento in auto a Fossò.
In aula Filippo ricorda che mentre guidava “l’ho colpita ad una coscia”, “volevo metterle lo scotch sulla bocca, ma non ci sono riuscito”. Il delitto lo scrive nel dettaglio però nel memoriale: Giulia riesce a venir fuori dalla Fiat Punto, e tenta
la fuga nelle strade della zona industriale di Fossò, lui la insegue e la la spinge a terra, “non ricordo bene” intervalla
costantemente il racconto Turetta. “Ero accasciato sopra di lei che era per terra e continuava a gridava forte. In quel momento volevo toglierle la vita. Non ne potevo più di sentirla urlare. Volevo che tutta quella situazione finisse al più presto”. “Ho iniziato a colpirla con il coltello – ha proseguito – avrei voluta darle solo un colpo al collo perché fosse meno ‘doloroso’ e più veloce, ma lei si difendeva con le braccia. Così ho iniziato a colpire più velocemente possibile senza neanche guardare dove stessi colpendo e pensare al male che le stavo causando. Ad un certo punto è come non la avessi sentita più urlare. Non avrei mai voluto colpirla sul viso, la cosa mi ha inorridito”.
Poi la fuga disperata in auto, l’occultamento del cadavere in un bosco vicino a Barcis. L’ultimo atto del piano salta, quello del suicidio a cui Turetta però dice di avere pensato. E su questo lo ha incalzato il pm Petroni: “perché non ti sei
suicidato?”, gli chiede deciso. “Ci ho provato mettendomi un sacchetto in testa ma non ci sono riuscito”, replica Turetta
incespicando nelle parole, come quasi sempre nelle lunghe ore dell’esame in aula.
“Non penso al mio futuro. L’unica cosa a cui penso è che sia giusto affrontare questo ed espiare la colpa per quel che ho fatto. Non so perché non ho chiesto scusa, ma penso che sia ridicolo e fuori luogo, vista la grave ingiustizia che ho
commesso”, spiega ancora.
Si tornerà in aula il 25 e 26 novembre per la discussione, poi le repliche, e il 3 dicembre la sentenza.

Stefania Losito

Fonte Radio Norba

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